La Cina va all’attacco degli atenei europei, con istituti e università che lavorano per l’esercito

· 4 Ottobre 2024


Negli ultimi anni, la collaborazione tra università europee e sette università cinesi, note come le Sette Figlie della Difesa Nazionale, ha destato crescenti preoccupazioni. Queste università, in stretta collaborazione con l’apparato militare cinese, rappresentano un rischio significativo per la stabilità dell’Occidente, soprattutto se si considera quanto il cuore della cultura occidentale – le sue università e i suoi centri di ricerca – possa essere vulnerabile all’influenza di potenze storicamente avversarie. La Cina, che attualmente rappresenta la principale potenza comunista e anti-occidentale del pianeta, sembra decisa a investire molte energie e denaro nei rapporti con il mondo accademico europeo.

Le Sette Figlie della Difesa Nazionale forniscono al Partito Comunista Cinese (PCC) tecnologie e competenze necessarie per sostenere le sue ambizioni militari. Il fatto che diverse università europee, alcune delle più prestigiose del continente, collaborino con queste istituzioni cinesi solleva seri interrogativi sulla protezione delle nostre conoscenze scientifiche e tecnologiche e sull’uso che di queste può essere fatto. Non è difficile immaginare che tali collaborazioni possano mettere a rischio l’indipendenza della ricerca e aprire la strada a forme di infiltrazione ideologica, oltre a potenziali furti di tecnologie sensibili.

Bruxelles ha cominciato a suonare l’allarme, e da settimane si discute su come proteggere le università europee e i ricercatori dalle interferenze cinesi. La questione è complessa, poiché molte università europee dipendono in buona parte da finanziamenti esteri per sostenere i loro progetti di ricerca. Tuttavia, accettare denaro da entità strettamente collegate all’esercito cinese rappresenta un rischio altissimo per la sicurezza e l’integrità dell’Europa. È come se stessimo inconsapevolmente contribuendo alla nostra stessa destabilizzazione, permettendo alla Cina di esercitare una crescente influenza nelle nostre istituzioni educative e culturali.

Un fenomeno simile si osserva anche negli Stati Uniti, dove i principali finanziamenti esteri delle università americane provengono spesso da Stati che storicamente sono avversari dell’Occidente, come Cina e Arabia Saudita. Questo fatto sta sollevando sospetti circa una strategia globale di “esportazione del caos”. È particolarmente curioso osservare come l’ideologia woke, che sta causando divisioni e polarizzazioni nelle società occidentali, sia in gran parte repressa in Cina, ma paradossalmente sembra essere sovvenzionata e incoraggiata proprio nelle istituzioni educative occidentali tramite questi canali di finanziamento. Questa contraddizione solleva domande su quale possa essere il vero scopo di tali sovvenzioni: è davvero una forma di collaborazione accademica o, piuttosto, un tentativo deliberato di alimentare divisioni sociali e politiche in Occidente?

In questo contesto, non si può non menzionare la crescente presenza degli Istituti Confucio nelle università occidentali. Questi istituti, promossi dal governo cinese, si presentano come centri di cultura e lingua cinese, simili al British Council o all’Alliance Française. Il loro lavoro culturale è indubbiamente di valore, poiché promuovono la conoscenza della lingua e delle tradizioni cinesi. Tuttavia, molte indagini condotte da enti governativi e organizzazioni indipendenti hanno rilevato che gli Istituti Confucio fungono spesso da canali di propaganda per il PCC, limitando la libertà accademica e diffondendo narrative che favoriscono gli interessi cinesi, spesso a scapito della verità e della trasparenza.

Un caso recente ha ulteriormente aumentato i timori riguardo all’infiltrazione cinese nelle istituzioni europee. A partire da marzo 2024, cinque università europee hanno avviato un ambizioso progetto finanziato dall’Unione Europea sulla decarbonizzazione. Tra i partner di questo progetto figura il Beijing Institute of Technology, uno dei membri più illustri delle Sette Figlie. Questo coinvolgimento solleva preoccupazioni su quali possano essere i veri interessi della Cina in questo campo. È noto che la decarbonizzazione e le tecnologie verdi saranno le forze trainanti dell’economia mondiale nei prossimi decenni. La Cina, leader nella produzione di pannelli solari e batterie, potrebbe sfruttare queste collaborazioni per consolidare il proprio dominio in questo settore strategico, non solo a livello economico, ma anche e soprattutto a livello politico e militare. Dobbiamo chiederci: la partecipazione del Beijing Institute of Technology a questo progetto europeo è davvero orientata alla collaborazione scientifica o cela interessi più oscuri e strategici?

Tutti questi elementi ci portano a una conclusione inevitabile: è necessaria una maggiore vigilanza nelle istituzioni europee, e italiane in particolare, contro l’influenza cinese. La Cina non è un semplice partner economico: è una potenza che ha chiaramente dimostrato di voler espandere la propria influenza globale a qualsiasi costo, spesso a scapito dei diritti umani e della sovranità nazionale di altri Stati. Non possiamo permetterci di ignorare i rischi legati a una così stretta collaborazione con istituzioni che servono apertamente gli interessi militari e politici del PCC.

In un’epoca in cui l’Occidente sembra sempre più diviso e indebolito, è imperativo che le nostre università e i nostri governi non compromettano la loro integrità per l’illusione di facili finanziamenti. Serve un approccio più cauto e sospettoso nei confronti della Cina, e occorre agire prima che sia troppo tardi.


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