La stampa internazionale ha dedicato spazio ad approfondimenti che riguardano Cuba, un tempo considerata la perla dei Caraibi, che è oggi prigioniera di una crisi economica che sembra non avere fine. Al centro del dramma, due simboli che hanno segnato la sua storia e l’identità: lo zucchero, un prodotto che l’aveva resa famosa a livello globale, e il turismo, una risorsa economica cruciale per il suo fragile sistema. Entrambi i settori sono in piena decadenza, trascinati verso il baratro dalle politiche statali inefficaci e dall’incapacità di adattarsi ai mutamenti del mercato internazionale.
Lo zucchero, un tempo motore dell’economia cubana, è oggi il simbolo più evidente di un disastro annunciato. L’isola, che dominava il mercato mondiale di questo dolcificante, si trova costretta a importarlo a prezzi esorbitanti di 5 dollari al chilo, una cifra impensabile per un Paese che un tempo ne esportava tonnellate in tutto il globo. Le ragioni di detto crollo sono da ricercare in decenni di scelte sbagliate, imputabili al sistema di pianificazione centralizzata. Questa ha distrutto l’efficienza produttiva, scoraggiato gli investimenti e privato i contadini di qualsiasi incentivo a migliorare la qualità e la quantità della produzione. In proposito, le macchine agricole, obsolete e malfunzionanti, testimoniano l’abbandono di un settore che avrebbe potuto ancora essere un fiore all’occhiello dell’economia isolana.
Al fallimento agricolo si accompagna poi quello del turismo, un altro contesto in grande spolvero per anni, che ha rappresentato una delle poche speranze di rilancio economico. Per lungo tempo, il regime aveva puntato sul turismo per attrarre valuta estera e compensare le inefficienze della propria economia. Ma i numeri recenti raccontano una storia diversa: le presenze sono in calo, i turisti russi, tradizionali frequentatori della regione, sono diminuiti a causa delle tensioni internazionali legate alla guerra in Ucraina, e la qualità dei servizi lascia sempre più a desiderare. Hotel trascurati, infrastrutture fatiscenti e un servizio spesso inadeguato spingono i visitatori verso altre mete caraibiche più competitive.
Cuba è ora intrappolata in un circolo vizioso: da un lato, il governo continua a mantenere un rigido controllo su ogni aspetto della vita sociale ed economica, soffocando qualsiasi forma di iniziativa privata; dall’altro, l’inefficienza dello Stato impedisce la realizzazione di interventi strutturali capaci di invertire la rotta. È uno stallo che affonda le proprie radici nell’ideologia socialista, con la sua ossessione per la pianificazione e il controllo, la quale ha progressivamente eroso le fondamenta di un’economia che un tempo poteva competere a livello globale.
Comunque, la crisi dello zucchero e quella del turismo non è altro che l’ultimo capitolo di una storia di declino iniziata decenni fa. Ossia quando con il regime di Fidel Castro ha scelto di seguire un modello che prometteva uguaglianza e benessere, ma che in realtà ha portato povertà e stagnazione. L’assenza di libertà economica, unita alla mancanza di diritti di proprietà e alla repressione dell’imprenditorialità, l’ha condannata a un futuro incerto, tant’è che persino gli aiuti internazionali, spesso celebrati come una panacea, non riescono a colmare le lacune di un sistema incapace di creare ricchezza in modo autonomo.
In questo contesto, è impossibile non richiamare alla mente gli insegnamenti di Ludwig von Mises, uno dei più grandi critici dell’economia pianificata. Lo stesso, autore già nel 1922 della monumentale opera “Socialismo”, aveva avvertito che il socialismo, nel tentativo di eliminare le disuguaglianze, finisce per distruggere le basi stesse della prosperità economica. Il caso cubano ne è una prova lampante. La pianificazione centrale non solo ha fallito nel garantire un livello di vita dignitoso, ma ha anche privato le persone della libertà di innovare, competere e migliorare le proprie condizioni.
Il destino dello Stato caraibico dovrebbe servire da monito per tutti coloro che, ancora oggi, credono nella bontà delle politiche interventiste. La libertà economica non è solo un principio morale: è anche la condizione necessaria per lo sviluppo e il progresso. Senza di essa, qualsiasi promessa di uguaglianza si trasforma rapidamente in una trappola di povertà e arretratezza.
Per l’isola caraibica, come appare ormai evidente, la strada del riscatto passa inevitabilmente attraverso una rivoluzione economica e culturale. Serve una riforma profonda che metta al centro l’iniziativa privata, il rispetto della proprietà e l’apertura al mercato globale. Non sarà, né può essere un percorso facile, ma è l’unico che le può restituire la speranza di un futuro migliore.
Come ha osservato Friedrich A. von Hayek: «La libertà economica è la base di ogni altra libertà. Senza di essa, nessuna società può dirsi veramente libera». Cuba ha quindi bisogno di riscoprire queste verità, abbandonando le illusioni di un socialismo che ha fallito ovunque sia stato applicato. Solo allora potrà tornare a essere la perla dei Caraibi, non più prigioniera di un passato di errori, ma protagonista di un futuro di speranza e libertà.
Dalla crisi dello zucchero ai turisti che scappano, il socialismo completa l’opera: Cuba è distrutta
Sandro Scoppa · 8 Gennaio 2025
La stampa internazionale ha dedicato spazio ad approfondimenti che riguardano Cuba, un tempo considerata la perla dei Caraibi, che è oggi prigioniera di una crisi economica che sembra non avere fine. Al centro del dramma, due simboli che hanno segnato la sua storia e l’identità: lo zucchero, un prodotto che l’aveva resa famosa a livello globale, e il turismo, una risorsa economica cruciale per il suo fragile sistema. Entrambi i settori sono in piena decadenza, trascinati verso il baratro dalle politiche statali inefficaci e dall’incapacità di adattarsi ai mutamenti del mercato internazionale.
Lo zucchero, un tempo motore dell’economia cubana, è oggi il simbolo più evidente di un disastro annunciato. L’isola, che dominava il mercato mondiale di questo dolcificante, si trova costretta a importarlo a prezzi esorbitanti di 5 dollari al chilo, una cifra impensabile per un Paese che un tempo ne esportava tonnellate in tutto il globo. Le ragioni di detto crollo sono da ricercare in decenni di scelte sbagliate, imputabili al sistema di pianificazione centralizzata. Questa ha distrutto l’efficienza produttiva, scoraggiato gli investimenti e privato i contadini di qualsiasi incentivo a migliorare la qualità e la quantità della produzione. In proposito, le macchine agricole, obsolete e malfunzionanti, testimoniano l’abbandono di un settore che avrebbe potuto ancora essere un fiore all’occhiello dell’economia isolana.
Al fallimento agricolo si accompagna poi quello del turismo, un altro contesto in grande spolvero per anni, che ha rappresentato una delle poche speranze di rilancio economico. Per lungo tempo, il regime aveva puntato sul turismo per attrarre valuta estera e compensare le inefficienze della propria economia. Ma i numeri recenti raccontano una storia diversa: le presenze sono in calo, i turisti russi, tradizionali frequentatori della regione, sono diminuiti a causa delle tensioni internazionali legate alla guerra in Ucraina, e la qualità dei servizi lascia sempre più a desiderare. Hotel trascurati, infrastrutture fatiscenti e un servizio spesso inadeguato spingono i visitatori verso altre mete caraibiche più competitive.
Cuba è ora intrappolata in un circolo vizioso: da un lato, il governo continua a mantenere un rigido controllo su ogni aspetto della vita sociale ed economica, soffocando qualsiasi forma di iniziativa privata; dall’altro, l’inefficienza dello Stato impedisce la realizzazione di interventi strutturali capaci di invertire la rotta. È uno stallo che affonda le proprie radici nell’ideologia socialista, con la sua ossessione per la pianificazione e il controllo, la quale ha progressivamente eroso le fondamenta di un’economia che un tempo poteva competere a livello globale.
Comunque, la crisi dello zucchero e quella del turismo non è altro che l’ultimo capitolo di una storia di declino iniziata decenni fa. Ossia quando con il regime di Fidel Castro ha scelto di seguire un modello che prometteva uguaglianza e benessere, ma che in realtà ha portato povertà e stagnazione. L’assenza di libertà economica, unita alla mancanza di diritti di proprietà e alla repressione dell’imprenditorialità, l’ha condannata a un futuro incerto, tant’è che persino gli aiuti internazionali, spesso celebrati come una panacea, non riescono a colmare le lacune di un sistema incapace di creare ricchezza in modo autonomo.
In questo contesto, è impossibile non richiamare alla mente gli insegnamenti di Ludwig von Mises, uno dei più grandi critici dell’economia pianificata. Lo stesso, autore già nel 1922 della monumentale opera “Socialismo”, aveva avvertito che il socialismo, nel tentativo di eliminare le disuguaglianze, finisce per distruggere le basi stesse della prosperità economica. Il caso cubano ne è una prova lampante. La pianificazione centrale non solo ha fallito nel garantire un livello di vita dignitoso, ma ha anche privato le persone della libertà di innovare, competere e migliorare le proprie condizioni.
Il destino dello Stato caraibico dovrebbe servire da monito per tutti coloro che, ancora oggi, credono nella bontà delle politiche interventiste. La libertà economica non è solo un principio morale: è anche la condizione necessaria per lo sviluppo e il progresso. Senza di essa, qualsiasi promessa di uguaglianza si trasforma rapidamente in una trappola di povertà e arretratezza.
Per l’isola caraibica, come appare ormai evidente, la strada del riscatto passa inevitabilmente attraverso una rivoluzione economica e culturale. Serve una riforma profonda che metta al centro l’iniziativa privata, il rispetto della proprietà e l’apertura al mercato globale. Non sarà, né può essere un percorso facile, ma è l’unico che le può restituire la speranza di un futuro migliore.
Come ha osservato Friedrich A. von Hayek: «La libertà economica è la base di ogni altra libertà. Senza di essa, nessuna società può dirsi veramente libera». Cuba ha quindi bisogno di riscoprire queste verità, abbandonando le illusioni di un socialismo che ha fallito ovunque sia stato applicato. Solo allora potrà tornare a essere la perla dei Caraibi, non più prigioniera di un passato di errori, ma protagonista di un futuro di speranza e libertà.
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Sandro Scoppa
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