Lezioni americane: democrazia batte magistratocrazia

· 10 Gennaio 2025


Cari ascoltatori, la rubrica di stasera potrebbe essere intitolata “Lezioni americane”, da un grande libro di Italo Calvino. È una lezione che arriva oggi dalla sentenza di condanna che riguarda Donald Trump, tecnicamente una sentenza di condanna per il processo Stormy Daniels: Trump avrebbe versato 130mila dollari alla pornostar Stormy Daniels perché tacesse sulla loro relazione passata. Ma la lezione non è su questo, non è sull’intenzione chiaramente malevola dei magistrati americani che hanno incriminato Trump, in questo sovrapponibili a certa magistratura italiana. E neanche sul fatto che Trump doveva rispondere di 34 capi di imputazione (neanche ad Al Capone crediamo sia mai successo). Né, come ha detto lui, sul fatto che questa causa avrebbe dovuto viziare il processo elettorale, cioè farlo perdere.

Il punto sta nelle modalità e nelle conseguenze cui approda questa sentenza. Il giudice Juan Merchan di New York, che immaginiamo non sia esattamente un fan di Trump, ha deliberato la sospensione incondizionata della pena, quindi la sentenza non sortirà alcuna conseguenza. Perché? Perché tra pochi giorni Trump sarà il presidente degli Stati Uniti. Cioè avrà una responsabilità pubblica, ottenuta tramite un mandato elettorale, decisivo nell’architettura dei poteri della democrazia liberale americana.

La lezione sta anche nel modo in cui il giudice argomenta questa conclusione: “Le protezioni sono un mandato legale che, in base allo Stato di diritto, questa Corte deve rispettare e seguire. Sono stati i cittadini a decidere che Lei debba godere di protezioni come la clausola di supremazia e l’immunità presidenziale. È attraverso questa lente che questa Corte deve determinare una sentenza legittima”. Cioè il libero popolo americano è sovrano e si è espresso, ha deciso, ed è una decisione che il tribunale non può sbaraccare.

Insomma, è stato un processo ideologico nel tentativo ma non può essere ideologico nei risultati, perché la democrazia in America (l’ha insegnato per primo Alexis de Tocqueville) ha a che fare con il corpo vivo della nazione. Quindi “questa Corte ha stabilito che l’unica sentenza legittima che consente l’ingresso di un giudizio di condanna senza invadere la carica più alta del Paese è la sospensione incondizionata della pena”. Il giudice ha poi concluso con una frase che sembra forma ma è anch’essa sostanza: “Signore, le auguro buona fortuna mentre assume il suo secondo mandato”.

Questa è una grande lezione di democrazia liberale, di separazione dei poteri. Il potere giudiziario non può irrompere nelle competenze, nelle priorità del potere politico e sbaraccarlo. Ed è una lezione che, vista da un Paese in cui questa cosa avviene ininterrottamente da più di trent’anni, in cui vige la magistratocrazia, è straniante, a nostro sfavore: il primo governo Berlusconi cadde per un’iniziativa esplicita della magistratura, ricorderete l’avviso di garanzia recapitato mentre presiedeva un G7. E, più recentemente, quel pezzo di magistratura ideologizzato si è dedicato a sbaraccare sistematicamente la politica migratoria del governo Meloni.

Dall’altra parte dell’oceano invece questo giudice, che probabilmente non vedeva l’ora di condannare Trump con effetti anche pratici, ha chiuso la lettura della sentenza augurandogli buona fortuna per la sua seconda presidenza. Gioco, partita, incontro.


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